Tino Stefanoni è nato nel 1937 a Lecco, la città dove ininterrottamente ha vissuto e ha creato le sue opere sino al 2017, l’anno della sua scomparsa.
Ha frequentato il liceo artistico Beato Angelico e la facoltà di architettura del Politecnico di Milano.
Il lavoro di Tino Stefanoni, pur non appartenendo in senso stretto a quello dell’arte concettuale, di fatto si è sempre sviluppato nella stessa area di ricerca. Ha sempre guardato al mondo delle cose e degli oggetti del quotidiano, proponendoli nella loro più disarmante ovvietà, come tavole di un abbecedario visivo o pagine di un libretto d’istruzioni dove le immagini sostituiscono le parole.
A differenza del mondo animale e del mondo vegetale che non sono di pertinenza dell’uomo, l mondo delle cose è invece l’unico segno tangibile della sua esistenza, e quindi di sua proprietà, traccia del suo pensiero e della sua storia dove si possono creare arte e bellezza che non sono l’arte e la bellezza della natura.
E’ evidente, nella ricerca, l’interesse a voler presentare le cose più che a volerle rappresentare e, al tempo stesso, a rivestirle di sottile ironia e magia tratte da un’operazione asettica come in un sogno lucido, per intenderci, che può far convivere elementarità e mistero, due elementi che per loro natura non sono affatto prossimi ma vicini per contrappunto.
Nel 1967 ha tenuto nella galleria Il Canale di Venezia la sua prima rilevante personale e ha vinto il Premio San Fedele, un importante riconoscimento per giovani artisti assegnato da una giuria allora presieduta da Giuseppe Panza di Biumo e Palma Bucarelli. Nel 1968 ha tenuto una personale presso la galleria Apollinaire di Milano introdotta da un testo di Pierre Restany.
Nel 1970 ha partecipato alla Biennale di Venezia.
Da quell’anno in poi le sue opere sono state esposte in numerose citta europee (soprat- tutto in Germania, Svizzera, Francia e Regno Unito), americane e asiatiche.
Presso Il Milione, oltre a parecchie collettive, ha tenuto personali nel 1994, 2000, 2007 e 2018.
In occasione della personale del dicembre 1994, Stefanoni ha scritto un breve testo riferito soprattutto ai Frammenti – uno dei cicli di opere incluso nella mostra del 2018: “ Immaginiamo di trovarci un una stanza tutta dipinta; o, per meglio dire, in una stanza che una volta era tutta dipinta ma che oggi, consumata dal tempo, è cambiata, è una nuova stanza, fatta di tanti piccoli frammenti di pittura sparsi qua e là sui muri, quelli che appunto il tempo ha deciso di risparmiare dalla distruzione. Naturalmente i contenuti e le peculiarità della stanza di un tempo, tutta dipinta, sono anch’essi svaniti nel nulla, ma questi brani di pittura, rimasti nel vuoto dei muri, hanno acquisito nuovi significati, “trasformati” non da una creatività, ma dal tempo trascorso. Così oggi ci si può appropriare del frammento non come residuo di un evento trascorso, ma come fenomeno di autorigenerazione che il linguag- gio stesso della pittura ci propone. L’Arte si trasforma, dunque, come il punto di vista dell’artista e dell’osservatore, oggi non solo partecipe di ogni possibile esperienza e sperimentazione, ma consapevole del cambiamento delle radici stesse di una pittura che cambia i suoi orizzonti e che può essere considerata, più che un fine, un mezzo peculiare per le necessità della mente”. (Bollettino n. 199).
Tino Stefanoni presso il Milione, oltre a parecchie collettive, ha tenuto personali nel 1994, 2000, 2007 e 2018.